martedì 13 novembre 2007

Rito Pane – lievitazione naturale con pasta madre


Pane. Crosta fragrante, cuore di morbida mollica. Con sale o senza sale, farina di grano, grano duro o tenero, alla segale ai cinque cereali, nero o bianco e morbido di strutto.

Pane. E’ difficile godere di salumi, formaggi, olive, o per noi golosi incalliti, di peccaminosa nutella senza pane.
Il pane non è solo tradizione, è rito. Sopratutto, nella preparazione più tradizionale puoi intravedere il circolo rituale che sottende a questa pratica così antica e universale.

Bologna – inverno 2007.

Durante una delle mie lunghe, infinite passeggiate con il naso per aria per l’affollata Bologna, un manifesto verde, di quel verde bosco che richiama la natura e solletica la dormiente coscienza ambientalista che è in ognuno di noi, leggo: laboratori di ecologia urbana, corsi di yoga, cosmetica naturale e panificazione naturale.
Mi iscrivo!

La panificazione, per quel che ricordo da quando da bambina vedevo mia nonna ricurva ad impastare in un enorme vasca di legno (in calabrese dicesi majilla) è un processo lento e scandito da puntuali cure. Al corso ( per chi è interessato i corsi di ecologia urbano sono organizzati da ecologisti S. P. A di Bologna) pensavo di trovare zie e nonne del quartiere. Non potevo immaginare un pubblico di ragazze e ragazzi.
Le mamme moderne, poi, vanno in giro in abitini fasciati e tacchi a spillo persino nei parchi. Non avranno tempo di imparare a fare il pane. (ovviamente non tutte, permettetemi qualche facile provocazione!).

Invece - e qua può tranquillamente scoppiare un boato generale di ohhhh! -davanti al tavolo della signora, che avrebbe dovuto iniziarci alla panificazione naturale, c’erano almeno una ventina di persone, quasi tutti ragazze e ragazze, ovviamente qualche nonna e qualche zia del quartiere.
La signora, una bella olandese – mi sembra, comunque una bella nordica – pallidissima in viso, con due occhi azzurri tersi, ma piccoli piccoli, capelli biondo cenere raccolti, aveva uno stupendo maglione di lana grossa, di quelli che si usavano negli anni settanta.
Insieme al marito, che silenziosamente le porgeva quanto potesse servirle mentre lei impastava e spiegava, era un uomo piccolo di statura, scuro di capelli, ma anche lui con un bel maglione di lana grossa. Insieme diriggono da anni una azienda biologica, lei prepara il pane tutte le settimane!

Sul tavolo c’erano diverse scodelle.
Ogni scodella conteneva un pezzo di pasta da pane. Servivano per farci vedere i diversi stadi della panificazione. Ci vuole un giorno intero di lievitazione per fare un buon pane!Con un buon italiano scorrevole, rotto solo da qualche rara imprecisione linguistica, iniziò la lezione. Avevano portato del grano e uno strano macchinario che lo ha macinato. La farina che ne uscì era caldissima, gialla e finissima!

Allora lei estrasse dalla scodella più piccola la cosiddetta pasta madre, ovvero la pasta acida con cui il pane lievita naturalmente. Le era stata data in dono. Qualche anno fa una vecchia contadina fiorentina gliene aveva regalato un pezzo della sua.
Si tramandava da circa cento anni. Perché è questo il segreto della panificazione naturale: la pasta madre. Non è altro che della farina con dell’acqua diventata acida. Ma, ogni volta che fai il pane devi prenderla e mettere a lievitare con i primi 250 grammi farina e la stessa dose di acqua, a temperatura ambiente, per la prima lievitata.
Mescola tutto dolcemente e lascia riposare. Ricordati di mettere sopra un panno umido e, per favorire il processo lievitante, tieni l’impasto nell’angolo più caldo della casa. Passano dodici ore ed ecco la prima pagnotta – che ancora pane non è – ben lievitata e gonfia di aria. Prendine un pezzo grande quanto un pugno e conservalo in frigo.

Questa è la tua pasta madre.
Ogni sette giorni – io ne ho fatti passare anche20 ! - dovrai “rinnovarlo” ovvero dargli farina e acqua, nelle dosi consigliate prima, e fare una prima lievitata. Una volta fatto questo ti metti a fare il pane!!Proseguiamo: alla pagnotta di pasta di pane che hai ottenuto devi aggiungere almeno altri 500 grammi di farina e acqua come indicato sopra.
Devi lavorare con la forza dei polsi almeno per dieci minuti. Il segreto, diceva la panetteria, è la forza con cui lavori l’impasto. Devi lavorarlo in modo che prenda aria. Come se stessi prendendo a pugni una pasta elastica.
Quando otterrai una pagnotta tonda, ben definita, lascia lievitare almeno tre ore, magari avvolgilo in una coperta di lana per mantenerlo caldo.Possono anche passare 5 ore, il pane ci guadagna in morbidezza.

Siamo alla fase finale.
Adesso la pagnotta è pronta per essere pane. Nell’ultima parte della lavorazione, puoi aggiungere la farina che vuoi, man mano secondo la consistenza della pasta che ottieni aggiungi un pochino di acqua. Se l’impasto è elastico sei ha buon punto!Adesso puoi sbizzarrirti: metti sale, semi, noci, pezzi di formaggio. Come fantasia suggerisce. Ricordo che la signora aveva usato solo la farina integrale, ma si raccomandò per le prima volte di usare farina comune. Con l’esperienza, poi, saremmo potuti passare anche alle altre farine che in genere sono più difficili da impastare e devono saper essere misurate. A quel punto il marito tirò fuori il pane cotto la sera prima.

C’erano diverse forme.
Ognuna aveva un ingrediente particolare: semi di lino o sesamo, nero o integrale. Non c’era pane bianco. la signora sentenziò che la farina bianca e troppo raffinata perde molte delle proprietà nutritive. Abituatevi disse alle farine integrali.Regalò a tutti un pezzo di pasta madre e si raccomandò di regalarla anche ad altri, di preparare il pane e darlo, perché è un circolo. un circolo che si rinnova. Eravamo tutti toccati da queste ultime parole.

Ma tra tutti, però, più di tutti mi colpì un ragazzo appena ventenne.
Capelli ondulati scuri raccolti in un codino, gli occhi puntati sulla signora, seriamente concentrato sulla spiegazione. Poco dopo, nei vari discorsi tra una pausa e l’altra, sento – per meglio dire origlio – una sua conversazione con un altro ragazzo.
Da lì a poco sarebbe partito per andare a lavorare in un qualche villaggio, non ho colto dove. Penso per qualche esperienza di volontariato. Ma lo immaginavo lì, con la stessa espressione concentrata a spiegare i segreti della panificazione naturale.

Questa ricetta è dedicata al ragazzo troppo concentrato.
Pane. Invocato per fame, da interi popoli o quando arrivi a casa, letteralmente affamato. Un pezzo di pane è quello che chiede il mendicante per la strada, un pezzo di pane suggellò simbolicamente l’ultima cena del Cristo.
Un pezzo di pane quando sei fuori magari in giro per sentieri sperduti, cercando aria pura e paesaggi aperti. un pezzo di pane è il pranzo dell’operaio, seduto in fabbrica o davanti un muro in costruzione.
Un pezzo di pane caldo con olio, origano e sale, mi ricorda il profumo del grande forno a legna, a casa giù in calabria dai miei nonni, tanti anni fa, tiravano fuori almeno quaranta pani. Il pane caldo dei carretti che giravano nei mercati colorati del Marocco.
Il pane che, ancora, al mio paese vendono per strada. Il pane troppo caro dei fornai in città. Qualcuno diceva vogliamo il pane e vogliamo le rose. Da sempre il pane è il simbolo del diritto alla sopravvivenza, della condivisione.

Mangiare un pezzo di pane, sentirne il profumo e il calore sulle mani è come rinnovare un rito, sentire di esserci in questa catena umana che sopravvive e in qualche modo in cammino resiste.

Nella foto: pizze e focacce preparate con la pasta madre
per uno dei famosi aperitivi di casa San Petronio

Infatti, la pasta madre pu essere utilizzata anche per altre preparazioni simili al pane!

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